Eruzioni di vulcani costieri e il loro impatto sull’ambiente marino: nuove ricerche in Patagonia cilena con la spedizione internazionale Fire&Ice
TRIESTE, 11 NOVEMBRE 2024 – Giulia Matilde Ferrante, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale - OGS, ha recentemente partecipato a una campagna oceanografica al largo delle coste della Patagonia settentrionale, guidando il team di geofisica per il progetto Fire&Ice ‘Volcanic and glacial interactions’. Il progetto è coordinato da Sebastian Watt (University of Birmingham), in collaborazione con Rodrigo Fernandez (Universidad de Chile) e Rebecca Totten (The University of Alabama). La campagna, durata tre settimane e volta a ricostruire l’impatto dell’ultima eruzione di uno dei vulcani più pericolosi in Cile, il vulcano Chaitén, sull’ambiente marino, ha coinvolto scienziate e scienziati provenienti da diversi paesi, quali Gran Bretagna, Cile, Italia, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Malta.
“Utilizzando la nave da ricerca Falkor (too), di proprietà dello Schmidt Ocean Institute, è stato possibile svolgere analisi approfondite sui sedimenti vulcanici accumulatisi sul fondale marino non solo in tempi remoti, ma anche recenti” ha spiegato Giulia Matilde Ferrante dell’OGS. L’ultima eruzione, infatti, risale al 2 maggio del 2008, quando il vulcano Chaitén eruttò improvvisamente, dopo oltre 9 mila anni di quiescenza, depositando cenere e polveri per un raggio di circa 30 chilometri. Nei giorni successivi all’eruzione, forti piogge guidarono i sedimenti nei sistemi fluviali locali e diedero origine a colate di fango che devastarono le pendici dei rilievi locali e la città di Chaitén stessa, giungendo poi fino al mare.
“A bordo della N/R Falkor (too) siamo riusciti a rilevare la presenza dei detriti vulcanici dell’ultima eruzione del Chaitén fino a 25 chilometri di distanza dalla caldera” spiega ancora Ferrante, precisando che “questo notevole risultato offre una nuova prospettiva sull’intensità delle correnti marine al largo delle coste cilene e sulle modalità di spostamento dei sedimenti vulcanici che, in origine, vengono trasportati in mare dai corsi d’acqua. Inoltre, unitamente ai dati ricavati da nuove mappature del fondale oceanico, le rilevazioni effettuate durante la campagna ci permettono di comprendere meglio i rischi e le dinamiche connesse alle manifestazioni vulcaniche nel Sud del Cile”.
Nel corso della spedizione è stato possibile raccogliere anche numerosi campioni di sedimenti in un’area estesa dal Mare di Patagonia settentrionale fino alla Fossa di Atacama, utilizzando un vibrocarotiere montato a bordo del sottomarino a comando remoto (ROV, Remotely Operated Vehicle) SuBastian, dello Schmidt Ocean Institute. Le stratificazioni di sedimento emerse dalle carote raccolte forniscono una testimonianza diretta dell’attività geologica e paleo-oceanica della regione; inoltre, le ceneri e i detriti vulcanici, conservati meglio sul fondale oceanico che sulla terra ferma, permettono una ricostruzione più dettagliata e sul lungo periodo dell’attività vulcanica. Come affermato da Sebastian Watt, a capo della missione, “le osservazioni effettuate [...] consentiranno di capire in che modo i vulcani costieri impattano gli ambienti marini e le infrastrutture antropiche, come quelle legate alla pesca e alle telecomunicazioni”.
Tra i risultati più importanti della campagna oceanografica va menzionata anche la nuova mappatura ad alta risoluzione di oltre 2700 chilometri quadrati del Mare di Patagonia settentrionale, che mostra un fondale marino fortemente segnato da dinamiche glaciali passate. Inoltre, davanti alla città di Chaitén è stata osservata un’area di mega-dune sottomarine estese per circa 10 chilometri quadrati.
Nel corso della spedizione, infine, scienziati provenienti da tre diverse università cilene e dal Servizio Nazionale Geologico e Minerario cileno, il SERNAGEOMIN, hanno lavorato a stretto contatto con le comunità locali di Chaitén per sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi geologici, vulcanici e sullo stato dinamico dell’ambiente marino. Il coinvolgimento diretto della popolazione locale è stato fondamentale per dare ulteriore valenza a una tale ricerca scientifica sul campo. Come affermato da Rodrigo Fernandez: “La possibilità di dialogare con le comunità del luogo e anche con un pubblico più ampio è stata importante tanto quanto le attività di ricerca scientifica”.
Foto credits: Alex Ingle / Schmidt Ocean Institute
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